La ramularia dell’orzo: una malattia ri-emergente
A cura di R.Bugiani- Servizio Fitosanitario Regione Emilia-Romagna
L’aumento degli areali coltivati ad orzo negli ultimi 5 anni ha portato, analogamente al 2012 e al 2015 nel Nord Italia, alla ricomparsa di una nuova malattia emergente: la ramularia. La malattia, tra l’altro segnalata per la prima volta nel lontano 1893 in Italia e che sta creando diversi problemi ormai da diversi anni negli areali di coltivazione di orzo primaverile del centro-nord Europa, è causata da Ramularia collo-cygni, un fungo appartenente, secondo recenti studi, alla specie Micosphaerella. Il patogeno è in grado di provocare cali significativi di resa dovuti a rapidi e precoci disseccamenti dell’apparato fogliare.
Sintomi
La malattia si manifesta principalmente sulle foglie, ma anche su guaine, steli e ariste solo dopo la fase di spigatura. Nelle primissime fasi iniziali della manifestazione dei sintomi, sulle foglie a partire dall’apice, compaiono inizialmente piccole macchie scure ed irregolari dalle dimensioni di un grano di pepe (di 1-2 mm di diametro), spesso indistinguibili da molte altre alterazioni fisiologiche della pianta. Tuttavia, a differenza di queste, questi primi sintomi di Ramularia sono evidenti su entrambe le lamine fogliari. In una fase intermedia, queste prime macchie si evolvono rapidamente per assumere un aspetto allungato, rettangolare, (dalle dimensioni di 2 mm di lunghezza x 0,5 di larghezza), di colore brunastro al centro e circondate da un alone clorotico. Questo aspetto sintomatologico è importante per distinguere la malattia dalle altre avversità fungine come la maculatura bruna (Pyrenophora teres f.sp. maculata, P.graminea) o septoria (Septoria nodorum) le cui lesioni si espandono oltre le nervature e le necrosi sono meno delineate e più allungate rispetto a quelle causate da Ramularia.
Epidemiologia
L’epidemiologia della malattia è ancora poco nota. Il fungo pur non avendo abitudini saprofitiche, è comunque in grado di produrre sulle paglie residue i picnidi, piccoli corpuscoli nerastri attraverso i quali trascorre la stagione avversa dell’autunno, nel caso dell’orzo vernino o dell’inverno nel caso dell’orzo primaverile. Tuttavia, per completare il quadro epidemiologico di questa malattia, l’inoculo può avere origine anche dal seme (le moderne tecniche di analisi molecolare messe a punto nel nord Europa hanno permesso di confermare questa possibilità) infettatosi dalla stagione precedente, oppure presente sia sui residui colturali che sulle graminacee infestanti infette.
All’emergenza delle piantine il fungo si diffonde all’interno delle nuove foglie durante tutto il loro sviluppo senza manifestare su queste nessun sintomo (fase asintomatica). Durante questa fase il micete coesiste all’interno dell’ospite come endofita. Quando le foglie cominciano ad invecchiare, sia per un normale processo di senescenza che per qualsivoglia stress nutrizionale, il fungo inizia a produrre sostanze fitotossiche, chiamate rubelline (rubellina A, B, C e D). In particolare, la rubellina D sembra quella maggiormente imputata nella comparsa dei sintomi e nella necrosi fogliare. Pertanto, le infezioni sono a carico delle foglie più vecchie, senescenti. Queste possono mostrare qualche sintomo ma è solo dopo la fioritura che l’espressione della malattia diviene palesemente manifesta a partire dagli apici fogliari. E’ in questa fase che le riserve nutrizionali della pianta vengono trasferite alla spiga. Sembra che ciò dia il segnale al fungo che, in presenza della luce, si attiva per produrre la tossina D in grado di debilitare la foglia fino a disseccarla completamente. La bagnatura è un fattore importante nella dispersione delle spore e nel processo infettivo. Secondo recenti studi, la durata della bagnatura in primavera è correlata con la gravità degli attacchi di ramularia dopo la fioritura. La produzione di spore secondarie avviene in corrispondenza dei tessuti necrotizzati dove si sviluppano rami conidiofori dalla caratteristica forma a S, a collo di cigno, (da qui il nome collo-cygni) ognuno portante una spora. Prolungate bagnature fogliari sono di gran lunga più importanti delle piogge sia per la dispersione delle spore (avviene in genere dopo 24-48 dalla bagnatura) che nell’avvio dei cicli infettivi secondari. Le spore disperse possono infettare le spighe e le reste, ma anche altre piante graminacee infestanti, ospiti secondari del patogeno. Ancora non è stato appurato se il seme di orzo viene infettato principalmente dalle spore aerodiffuse o dal fungo che si sviluppa all’interno della pianta. Inoltre, il fungo produce un secondo tipo di spora conosciuta come asteromella la quale si sviluppa alla fine della stagione sulle paglie. Il contributo di questo secondo tipo di spora non è ancora stato pienamente compreso all’interno del quadro epidemiologico della malattia. Tuttavia, può rappresentare una importante fonte di inoculo secondario presente sui residui colturali, oltre che un potenziale mezzo di riproduzione sessuale del fungo che può portare alla nascita di nuove razze maggiormente adattate ai cambiamenti climatici e all’utilizzo di fungicidi di sintesi.
Difesa
La lotta a questa nuova malattia pertanto passa in primo luogo dall’uso di semente sana (il controllo della semente importata è estremamente importante per evitare l’introduzione del patogeno in aree indenni dalla malattia) anche in seguito alla scarsa efficacia, nei confronti di questo fungo, dei principi attivi correntemente utilizzati per la concia del seme. Inoltre, sarebbe raccomandabile l’eliminazione dei residui della coltura precedente, la pulizia dei bordi dell’appezzamento e la cura attenta delle malerbe. A ciò si può aggiungere una corretta difesa anticrittogamica durante la stagione vegetativa. L’eventuale trattamento dovrebbe essere eseguito preventivamente, prima della comparsa dei sintomi sulle foglie più giovani (GS 45-49 della scala BBCH). Questo generalmente avviene dopo la fioritura. Trattamenti più precoci tra la fine dell’accestimento e l’inizio della levata hanno una qualche influenza ma sono comunque insufficienti a contenere la malattia. Un buon compromesso sarebbe un eventuale trattamento dall’emissione della foglia bandiera (GS 39 della scala BBCH). Tra i principi attivi più studiati nel nord Europa contro questa avversità si annoverano i triazoli (epossiconazolo e protioconazolo), gli ISDH (bixafen+protioconazolo) e, nei casi in cui non vi siano ceppi del fungo resistenti, le strobilurine (azoxystrobin e pyraclostrobin).
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Modena, 6 giugno 2018